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IL MIO OMAGGIO AL 125ESIMO DELLA CAMERA DEL LAVORO DI PERUGIA

13/10/2021 15:00

Leonardo Caponi

Politica,

IL MIO OMAGGIO AL 125ESIMO DELLA CAMERA DEL LAVORO DI PERUGIA

Il primo ricordo che ciò della Camera del Lavoro di Perugia, quando era nella sua prima sede del dopoguerra di Viale Indipendenza, non è visivo, ma ol

Il primo ricordo che ciò della Camera del Lavoro di Perugia, quando era nella sua prima sede del dopoguerra di Viale Indipendenza, non è visivo, ma olfattivo. Se ci penso mi sembra di sentire ancora l'odore misto dell'inchiostro del ciclostile e del fumo di sigarette. Non so, con precisione che età avessi quando ci sono entrato la prima volta; mio padre è stato Segretario dal 1948 al '58 ed io sono nato nel giugno del 1949. Alfio, prima operaio alle Fornaci Briziarelli di Marsciano, poi tipografo compositore da Benucci, aveva raccolto la eredità pesante e prestigiosa di Francesco Alunni Pierucci, Partigiano e dirigente comunista, che era stato il primo Segretario del dopoguerra e veniva eletto al Senato della Repubblica. A seguire nei miei ricordi ricordi infantili, c'è un pavimento fatto da piastrelle, pentagonali o esagonali non rammento bene, di colore cardinalizio scuro e i mobili imponenti e scuri, stile signorile anteguerra, dell'Ufficio di Segreteria e altri uffici. Scrivanie monumentali e librerie massicce come oggi non si trovano più. Ho visto che una di esse ce l'ha in casa la Giuliana (Renelli) e suo marito, miei vicini di via del Bellocchio, che li ricomprarono dalla CGIL. In questi scampoli di ricordi, mi torna spesso in mente un bellissima ricostruzione, non so se in legno o, preferibilmente credo in cartone compresso, di una elettromotrice ferroviaria, alta un metro e lunga due, fatta dai dipendenti delle FFSS con tanto di pantografo, per partecipare alla grande sfilata dei carri allegorici del Primo Maggio. Tengo nel cuore, poiché un fratello di mia madre, morto giovanissimo, era stato aviatore, un modello in grossa scala di aeroplano costruito dai lavoratori della Sai Marchetti di Passignano per la stessa sfilata, sulla carlinga del quale i compagni mi fecero una fotografia che, gelosamente conservo. Ho impressa nella mente l'immagine di mio padre con la testa avvolta da una buffa sciarpa, mentre da dietro una delle finestre seguiva il corteo di lavoratori e carri non potendoci essere a causa dei "barboni" che gli avevo attaccato io. La Camera del Lavoro si riempiva di persone dopo le cinque e mezza del pomeriggio, cioè a fine orario di lavoro. C'era una netta prevalenza, per quel che ricordo io, di donne giovani, vocianti, allegre e scanzonate, dalla battuta pronta verso i maschi che, più tardi realizzai, erano lavoratrici delle più grandi fabbriche della città, la Perugina e l'Angora Spagnoli insieme alla tabacchine che avevano più grinta e fegato degli uomini e si facevano valere negli scontri di piazza, piantando le loro unghie sulle facce degli agenti della Celere di Scelba. La Camera del Lavoro era, sul serio una grande famiglia. Una famiglia solidale, appassionata, ottimista sulle ragioni e i successi del Lavoro, sul futuro loro e dei loro figli.! A chi descrive quelli come anni bui, lo prenderei a calci nel culo. Quando fui più grande potei conoscere i funzionari della Camera del Lavoro, quelli che, in definitiva cominciarono a fare grande il sindacato più grande, alcuni dei quali, nei decenni a seguire, furono le colonne portanti della Camera del Lavoro. Se ci fosse Piero Mariani a scrivere con me mi potrebbe grandemente aiutare a ricordare nomi e personaggi familiari o conosciuti, a cominciare da Walter Micheletti, assunto come segretario da mio padre e diventato poi il re dell'Ufficio vertenze (di legislazione del lavoro ne sapeva più lui dei dirigenti pubblici) di Remo Venturini costruttore dell'INCA, di Caprini di Città di Castello che ricordo con simpatia e affetto e che dormiva dentro la Camera del Lavoro, di Giovanni Rosati, di Zuccherini, di Bakunin Jacobis, di Silvio Antonini, il padre della Nadia che divenne poi deputato, di Angelini, spericolato pilota della Gilera Quattrobulloni che fu, prima della Topolino Giardinetta (quanti viaggi ciò fatto!) il primo mezzo di locomozione della Camera del Lavoro in grado di raggiungere con Alfio i posti più lontani della provincia. Ma il ricordo più bello, tenero, affascinante che ho portato con me ha anche i colori della paura. Quella che, mentre viaggiavo imbacuccato e stretto tra i miei genitori sulla sella poderosa della Gilera, mi faceva il rombo profondo del motore a quattro tempi.

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