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Un Tentativo di analisi della crisi economica cubana

14/07/2021 21:46

Leonardo Caponi

Politica internazionale,

Un Tentativo di analisi della crisi economica cubana

Essendo ormai, come credo, un discreto conoscitore di Cuba, della sua storia recente, della sua economia e del suo popolo, ho sempre pensato che sulle

 

Essendo ormai, come credo, un discreto conoscitore di Cuba, della sua storia recente, della sua economia e del suo popolo, ho sempre pensato che sulle difficoltà economiche dell'Isola, pesino per l'80/90 per cento l'embargo americano e per un 20, più realisticamente forse 10 per cento, le inefficienze del sistema. Nonostante la sessantennale aggressione statunitense, che è stata praticata con una determinazione, una ferocia e una crudeltà senza pari, Cuba ha eradicato la miseria e l'ignoranza (anche oggi a Cuba c'difficoltà di reperimento ma non è vero che c'è la fame), emancipato la popolazione, realizzato conquiste straordinarie, che spesso ripetiamo, in tutti i campi. Esaminare e giudicare il sistema cubano, al di fuori del blocco, è una operazione disonesta che da risultati bugiardi. Quando è stato in condizioni di funzionare, libero dall'oppressione Usa, il sistema socialista ha funzionato, particolarmente negli anni della massima vicinanza sovietica, un periodo che tutti i cubani rimpiangono perchè, la gente di strada dice, "c'era tutto e non mancava niente". Sulle inefficienze e "gli sprechi" ho scritto varie volte e voglio qui sintetizzare. I secondi sono stati determinati, oltre che da lentezze burocratiche, da indirizzi e scelte di investimenti (per lo più industriali) sbagliati o rivelatisi tali, determinati dai tentativi, sacrosanti, del governo di liberare l'isola dalla monocultura della canna da zucchero. Prima della Rivoluzione l'80% della produzione saccarifera cubana era assorbito dal mercato statunitense. Pensate che contraccolpo immediato e seguente sull'economia del Paese l'interruzione di quel rapporto. L'inefficienza maggiore, chiamiamola così, è collegata alla bassa produttività del lavoro. Questo è un tema che, a mio giudizio, chiama in causa radici lontane della Rivoluzione, quando l'ispirazione Guevarista e Castrista (finalizzata alla costruzione dell'Uomo Nuovo) portò ad affermare che non si deve vivere per lavorare, ma si deve lavorare per vivere. Questo principio, nobile, mirabile e giusto, dovette fare i conti con l'asfissia dell'economia capitalista globale e il blocco Usa e un obiettivo giusto si potè trasformare, in parte, in un "adagiamento" di quote consistenti della popolazione cubana sulle varie forme di assistenza garantite dal governo. Pochi anni fa, quando era ancora Segretario del Partito, Raul denunciò, in un Congresso, il fatto che solo il 30/40% delle terre cubane erano coltivate perchè la popolazione rurale, specie i giovani, aveva preferito trasferirsi in città al riparo della "libreta" e garantiti dalla sicurezza sociale. Come in tutti i Paesi assediati e in guerra, era normale che a Cuba nascessero varie forme di "arrangiamento" e fenomeni tipici dei periodi di conflitto (quote di mercato nero, di "corruzione", di prostituzione) che il governo, in realtà, è stato costretto a tollerare come forme di tutela e incremento reddituale di una parte della popolazione. Voglio dire che Cuba fa parte di un continente, il Latino America, dove i fenomeni di cui sopra hanno, ovunque, rilevanza e stabilità nel tempo ben maggiori di quelli cubani e imparagonabili con essi. Ma veniamo all'attualità. Il virus, amplificato dal blocco che lo ha utilizzato in modo distruttivo, non poteva capitare in un momento peggiore. Da alcuni anni, dalla presidenza Raul, proseguita col nuovo leader Diaz Canel, Cuba ha avviato una profonda riforma del modello economico sociale (paradossalmente proprio nella direzione voluta da quelli che la mettono sotto accusa). La liberalizzazione e l'incentivazione delle piccole attività economiche private non più solo sul settore turistico e della ristorazione ha preceduto la abolizione della doppia moneta (divenuta da sistema di tutela dei disagiati, elemento di corruzione e instabilità) e alla decisione (non so a che punto siano) della abolizione della libreta che ha comunque, da tempo, molto ridotto qualità e quantità dei prodotti forniti. La riuscita di queste riforme e l'affermazione di questo modello, credo io, poggiavano sulla prospettiva di un dinamismo economico fondato sull'afflusso di una massa monetaria derivata dal turismo (totalmente bloccato), dall'aumento delle rimesse dei fuoriusciti a Miami (che Trump aveva ridotto e Biden ha mantenuto ridotte) e degli investimenti stranieri che Cuba aveva incentivato allestendo aree di libero scambio, rimaste inoperose per via del virus e del restringimento bel blocco. Questo e non la sete di libertà, ha provocato le manifestazioni, peraltro limitate, di questi giorni. Come uscirne? Proviamo a pensarci insieme e a fare qualcosa di solidale. Io, comunque, continuo a fidarmi dei compagni cubani.

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