Sono passati 20 anni da quei giorni di luglio.
Era un’estate calda ed io avevo da poco terminato gli esami di maturità.
Ricordo le discussioni, anche accese con i miei genitori, che volevano convincermi a non partire per Genova.
Il G8 metteva paura: la rappresentazione che davano i media faceva già presagire il triste epilogo. La questione si risolse: un piccolo infortunio al piede mi costrinse a rimanere a casa.
Tre giorni “incollato “davanti alla tv, tre giorni sospeso, assorto dalla miriade di emozioni che giungevano; era un’epoca dove non esistevano social e le notizie giungevano frammentate e non istantanee.
Una nuova generazione si riappropriava della piazza, riempiendola di contenuti e politica.
Migliaia di giovani avevano qualcosa in cui credere e come un’onda propulsiva volevano incidere ed essere protagonisti.
“La globalizzazione” aveva fatto i suoi esordi, prospettando una società dove tutti potevamo diventati ricchi, più felici e con miriadi di possibilità. La politica aveva cavalcato questo indirizzo, convinta di potere andare “a braccetto” con l’economia.
L’ occasione per ostentare questo “nuovo mondo” era l’Incontro delle 8 Nazioni più ricche del pianeta, dove i loro leader marciavano trionfalmente, orgogliosi e trincerati dietro falsi sorrisi.
“Voi G8 noi 6 miliardi” era uno dei tanti slogan dei manifestanti, emblematico e diretto, smascherava le bugie che i leader mondiali volevano far passare.
Si perché dietro quel Movimento eterogeneo che sfilava nelle vie di Genova, c’era un paradigma nuovo e alternativo, per interpretare la società del nuovo millennio.
La globalizzazione non portava più ricchezza, ma una distribuzione delle risorse ancora più iniqua, sfruttamento, abbassamento del costo del lavoro, profitti per le grandi multinazionali, mettere l’ambiente al servizio dell’economia: era la società del rischio, si poteva osare far tutto, se questo tutto, produceva denaro.
Si, il Movimento era politico ed aveva proposte strutturate, che a distanza di 20 anni, dischiudono un’attualità disarmante.
Diritti Sociali, Diritti Civili, Ambiente, Clima: un altro mondo era possibile.
Tutto questo faceva paura, queste proposte e questo attivismo potevano svelare le contraddizioni del mondo disegnato a tavolino.
Genova era un copione di un film, una sceneggiatura già scritta, si doveva raccontare di un movimento cattivo, violento, utopico, da fermare. Purtroppo si trattò di una sceneggiatura violenta, perché solo con la forza, solo con “la sospensione della democrazia”, solo con la repressione, la narrazione della buona globalizzazione poteva passare.
In tre giorni le strade, le piazze, i luoghi di Genova furono lo scenario di questo film.
Scontri, pestaggi, violenze, l’irruzione alla scuola Diaz, le torture nella caserma di Bolzaneto, la morte di Carlo Giuliani.
Un quadro di comando che partiva dall’ alto e terminava con gli esecutori, “una macelleria messicana”, “la più grande sospensione della democrazia nell’ Italia repubblicana”.
Come ogni film ci sono vincitori e vinti: il movimento riuscì sconfitto, per svariati motivi esterni ed interni ad esso.
Dopo pochi mesi, l’11 settembre, l’attacco alle Torri gemelle, le Guerre Preventive: l’attenzione fu spostata, con abilità, verso altri problemi.
Il movimento aveva anche dei limiti, il primo, quello di non porsi il problema del Potere, o di porselo solo in termini di rifiuto di esso, senza costruire un contro potere che veniva dal basso. Inoltre la miriade di parti di cui era composto non seppero coagularsi in un progetto omogeneo.
Avevamo ragione noi? E cosa resta di Genova?
Sono forse le due domane più difficili a cui rispondere.
Il G8 di Genova fu uno spartiacque, uno di quegli eventi che scolpiscono la memoria collettiva, un passaggio storico. Per molti della mia generazione fu il primo approccio alla politica, come lo è stato per me.
A dover di cronaca, tutto era nato qualche anno prima, negli Stati Uniti a Seattle, che passando per Porto Allegre in Brasile aveva riempito di contenuti le istanze del Movimento che si presentò a Genova.
La ragione non è mai assoluta ma per la prima volta si parlava apertamente di poteri sovrannazionali, mondializzazione, potere finanziario, tutela dell’ambiente, cambiamento climatico, cancellare il debito dei paesi più poveri, distribuzione delle risorse, migrazione, investimento nel pubblico.
Tutti temi che poi si sono presentati nei decenni successivi.
Di Genova e delle istanze prodotte resta una pratica, che purtroppo è stata molte volte disattesa, agire localmente e pensare globalmente. Questa pratica, proprio oggi dove una pandemia ha dimostrato la vulnerabilità del mondo capitalista globalizzato, potrebbe proprio tornare utile.