L'Italia di questi mesi, nella quale un sistema mediatico straordinariamente potente la descrive come ormai lanciata verso la "ripresa" e un radioso futuro di ricchezza e benessere per tutti, mi sembra quella degli anni 60, allorché un apparato informativo meno ricco ma univoco e pervasivo come quello attuale, magnificava le sorti del boom economico. Ogni volta che andavi al cinema (e allora ci andavamo spesso e in molti) la Settimana Incom (per chi non se la ricordasse un cinegiornale in bianco e nero) informava sulle opere del regime rappresentato allora dalla DC: autostrade realizzate, grandi ponti costruiti, dighe temerariamente erette, i successi della cantieristica, della meccanica, dell'industria in generale, la motorizzazione di massa, semine agricole in campi sterminati, l'uomo che dominava e rivoltava la natura. Il destino di uno sviluppo senza fine sembrava scritto. La felicità a portata di mano. Vorrei ricordare che l'accumulazione primitiva per quegli investimenti fu pagata dal Paese, soprattutto nel Sud, con cinque milioni di emigrati in ogni parte del mondo (in un'Italia che allora ne contava 25), con ristrutturazioni industriali selvagge che avevano provocato, negli anni '50, una disoccupazione di massa e una biblica migrazione di gente dal Meridione al Settentrione (basterebbe un riferimento all'Umbria, con la chiusura delle miniere di lignite, l'espulsione in massa dei mezzadri dai campi, l'immigrazione forzata nelle città o l'emigrazione in altre parti). Quanto fosse effimero quel quadro che veniva descritto e iniqua la distribuzione della ricchezza che era prodotta lo dimostrò, di lì a breve, la potente esplosione del '69 operaio, preceduto dal '68 studentesco, che disvelò un quadro realistico delle ingiustizie e delle contraddizioni sociali e fece vedere la possibilità di un altro mondo, diverso dal presente. Insomma la realtà riprendeva possesso di sé stessa. Vado con la memoria a queste cose perché anche oggi che la retorica della ripresa pare prevalere su tutto, la partita non è chiusa. La politica economica di Draghi e il PNRR non hanno come obiettivo l'aumento dei posti di lavoro e la lotta alle ingiustizie sociali. La loro ambizione è aumentare i profitti. Nuove contraddizioni e conflitti sono già in atto e altri, maggiori se ne produrranno. Bisognerà lavorare su questi perché la fine della storia è di là da venire.